Tra i generi che hanno tentato il salto verso il successo di massa, il noise rock è quello che ha raccolto meno. Sviluppatosi a partire dagli anni ’80 sulle radici del punk, del post hardcore, della no wave e degli esperimenti dei Velvet Underground, il noise è fatto di schizofrenia sonora, distorsione estrema, uso non convenzionale di strumenti elettrici con innesti elettronici, trasformazione di qualsiasi genere esistente (per esempio il pop) in un disastro ai limiti dell’ascoltabile, un trip psichedelico deflagrante e – in sostanza – weird.
Pensare che questa musica possa entrare in classifica oggi è quasi ridicolo, eppure il noise rock è quasi riuscito a farsi largo tra le masse soprattutto negli anni ’90, quando le etichette avevano deciso di investire di più in gruppi “casinari” dopo il successo dei Metallica e dei Nirvana, sperando di trasformarli nella tendenza successiva. Cosa che però non è mai accaduta, anche perché il noise rock difficilmente vende la sua anima al diavolo.
Ecco allora 10 album noise pubblicati incredibilmente da major, per capire come siano cambiati i valori oggi che le band vogliono solo l’anello al naso, come diceva Steve Albini (la lista non è da considerarsi esaustiva o definitiva, ma un campione dimostrativo di un fenomeno).
Shot
Jesus Lizard
Capitol, 1995
Oggi pensare ai Jesus Lizard su major pare fantascienza. La cattiveria e la sua furia noise/post hardcore della band può essere riassunta da Blockbuster, che apre il loro primo EP Pure su Touch and Go, un violentissimo spaccato della mentalità redneck “Texano style”. Eppure nel 1996, complice probabilmente un precedente singolo split coi Nirvana (Puss / Oh, the Guilt), la Capitol decide di scommettere su di loro. A dire il vero non è la prima volta che i JL flirtavano con una major. Il loro primo album live, Show, viene pubblicato infatti tramite la Warner. Shot però rappresenta anche un cambio drastico nella produzione: Steve Albini, fino ad allora il loro produttore, dà forfait. Leggenda vuole che rinunci per protesta verso la band, rea di firmare per una major. La realtà è invece che i nostri vengono folgorati dalla produzione di GGGarth per Houdini dei Melvins, probabilmente vista come un buon compromesso tra il loro essere ostici e la possibilità di arrivare a più persone. Il risultato è che la voce di David Yow è missata in primo piano, si punta al formato canzone classico con un tentativo di aprirsi al rock alternativo dei ’90. Ovviamente questo spaccherà la fanbase, tanto che ancora oggi si è indecisi se considerare Shot una prova minore o un coraggioso tentativo di evolversi. Resta il fatto che brani come Skull of a German mantengono tutta la carica e la filosofia negativa dei Jesus Lizard che furono.
Stoner Witch
Melvins
Atlantic, 1994
Se Houdini è considerato il disco cruciale per i Melvins “commerciali” che si intrufolano nel mercato grunge, è forse con la seconda prova su major che riescono a non perdere né pelo né vizio. Stoner Witch, con GGGarth ai comandi, sposta il bilanciamento del loro sludge/noise (dai testi più nonsense e surreali che mai) verso il metal e l’industrial (all’epoca in grande ascesa grazie ai Nine Inch Nails) e un impunito taglio sperimentale tanto da essere uno dei loro migliori e più ispirati dischi. Anche perché i Melvins operano un crossover con il rock più classico e marmoreo (vedi Queen e Revolve, chiari riferimenti a chi potete immaginare), un sapiente uso delle melodie che viaggiano sui binari dei rocciosi riff, spingendo sul noise estremo à la Merzbow di Magic Pig Detective, calando il maglio hardcore di June Bug e non facendosi mancare neanche dei momenti “isolazionisti” e dilatati come Shevil e la conclusiva Lividity. È in sostanza un disco che spiazza, con un lato A più “ascoltabile” e un lato B in cui la band è meno incline al compromesso, ma ancora coerente con la propria ricerca. Consapevoli che i giorni su Atlantic si avviano verso la fine, col successivo Stag i Melvins faranno tutto quello che passa loro per la testa (infilandoci anche dei fiati), risultando molto più caotici di quanto non siano in Stoner Witch, onorando a loro modo il contratto, almeno per i fan duri e puri che li vedono come un faro di indipendenza artistica.
Dirty
Sonic Youth
DGC, 1992
Leggenda vuole che gli act più rumorosi ed estremi abbiano trovato casa nelle major grazie all’exploit commerciale di Nevermind dei Nirvana. In realtà volendo essere precisi è tutto il contrario. Tra i primi noisers ad assaporare un contratto per la Geffen, i Sonic Youth registrarono Goo nel 1990 e Kim Gordon di fatto raccomandò i Nirvana al capoccia dell’etichetta, non il contrario. Sappiamo come andò a finire : il destino dell’alternative rock cambiò radicalmente da musica di nicchia a qualcosa di globalmente importante. Certo, è chiaro che il successo dei Nirvana ha sciolto le riserve di molti manager di settore, e allo stesso modo ha rafforzato il peso specifico di determinati gruppi. Tra questi appunto i sopraccitati Melvins e Jesus Lizard, ma soprattutto i Sonic Youth che nel 1992 pubblicano il loro album più equilibrato tra rumore devastante e formato canzone e nello stesso tempo talmente concentrato (come il Coccolino che potrebbe aver lavato i pupazzi di lana della copertina) da divenire un disco generazionale. Dirty, ancora una volta su Geffen, è la summa della potenza artistica dei Sonic Youth: brani di dolorosa vita vissuta come 100%, gli strali politici di Youth Against Fascism, la dolcezza sinuosa e irresistibile di Sugar Kane, il perfetto noise pop della Wish Fullfillment di Lee Ranaldo, i devastanti inni Swimsuit Issue e Drunken Butterfly di Kim Gordon. Roba che ai teenager d’epoca aprì un mondo fatto di chitarre da martoriare senza sensi di colpa e di assoluta libertà sonora. Anche qui c’è la mano di Butch Vig, reduce da Nevermind ma chiamato per una coincidenza che in questo caso possiamo dire propizia, in quanto Dirty sarà il disco più venduto della storia dei Sonic Youth e a tutti gli effetti uno degli album più rappresentativi degli anni ’90.
Troublegum
Therapy?
“A&M,
La trasformazione dei nordirlandesi Therapy? da indipendenti a artisti major è sorprendente. La scintilla è il primo posto nelle classifiche indie inglesi del 1991 dei mini album Babyteeth e Pleasure Death, che muovono la A&M a portare subito alla band contratto e penna. Ed ecco quindi l’album Nurse, che rende i Therapy?, grazie a una maggiore copertura promozionale, una realtà mondiale: chitarroni abrasivi, ritmiche quasi industrial, un approccio noise rock che flirta col metal, completamente privo di compromessi. Il periodo è favorevole e i Therapy? hanno un certo successo, portando subito la critica a considerarli in modo ovviamente forzato dei Nirvana inglesi. A ribadire questo sarà il successivo Troublegum, un album epocale in cui sono sintetizzate tutte le tendenze musicali estreme del periodo, asciugandole e trasformandole in brani power noise pop. Nei testi c’è l’ultradisagio dei giovani del periodo e una tendenza dark nella scrittura che cita i Joy Division (non a caso c’è la cover di Isolation). Rispetto al passato, i Therapy? camminano sulla fune della paraculata teeny, ma tutto funziona miracolosamente senza mai rischiare di cadere nel cringe e senza perdere un briciolo di potenza che anzi dal vivo sembrerà quasi triplicarsi. È un successo commerciale che però la band non riuscirà mai più a bissare. Dal successivo Infernal Love del 1996 si allontaneranno da certe sonorità per spiazzare tutti in un esperimento cinematico, col risultato che nel 1998 Semi Detatched li vedrà crollare in classifica tanto da essere prontamente presi a pedate dalla A&M. Torneranno quindi nella – per loro più agevole – zona indipendente, con alterne fortune.
Electriclarryland
Butthole Surfers
Capitol, 1996
Tra i gruppi di questa lista i Butthole Surfers sono quelli che ci hanno messo più tempo ad arrivare a una major. Fondati nel 1981, sono capiscuola di un concetto di noise rock che prevede la miscela di diversi generi, demolendoli con piglio weird/rumoroso (che nel suo andazzo quasi ludico è la cosa più pop che ci sia, in fondo). Impossibile definirli: il loro stile sembra non aderire a nessuna vera corrente se non la proprio. Sembrava quindi improponibile che potessero firmare per una major e invece ecco la Capitol che nel 1993 li mette sotto contratto, forse spinti dal fatto che Kurt Cobain ne fosse un fan sfegatato. Il primo roccioso disco “mainstream” ha il titolo beffardo Independent Worm Saloon ed è prodotto da John Paul Kones dei Led Zeppelin, ma è con Electriclarryland che ottengono un certo successo, in particolare grazie al singolo Pepper, una sorta di presa per il culo di Loser di Beck (così come il titolo dell’album è una presa per il culo di Jimi Hendrix). Pur presentando brani sul filo dell’allucinazione come My Brother’s Wife o L.A., il disco è sicuramente più accessibile (specie se lo paragoniamo a Locust Abortion Technician), tanto che molte canzoni finiranno nelle colonne sonore di film hollywoodiani (tra questi Fuga da Los Angeles di Carpenter), guadagnandosi così il disco d’oro. I rapporti con la Capitol però si incrinano, la copertina originale di Electriclarryland era stata censurata e il rifiuto del nuovo album in cantiere After the Astronaut è la classica goccia che fa traboccare il vaso. Dopo una serie di casini legali che coinvolgeranno anche l’etichetta Touch and Go, i Butthole Surfers finiranno sulla Hollywood Records di proprietà della Disney per un ultimo colpo di reni nel 2001: nonostante da allora promettano un disco nuovo, ancora nulla si palesa all’orizzonte.
Pop Tatari
Boredoms
Warner, 1992
Come abbia fatto questa band capitanata da Yamatsuka Eye e dalla batterista Yoshimi a ottenere un contratto con le etichette del gruppo Warner in Giappone e negli Stati Uniti è un mistero gaudioso. Uno dei gruppi più estremi del Japanoise, tra l’altro derivati dai sublimi Hanatarash e dagli Zeni Geva famosi per i loro forsennati e spietati decibel, capace di entrare tra le grazie delle etichette che contano grazie ai rapporti coi Sonic Youth e alla fama di guastatore di Eye, che ricordiamo con gli Hanatarash distrusse un intero locale con una ruspa e si beò di altre performance sull’orlo della denuncia (più i dischi con i Naked City di John Zorn e via discorrendo). Pop Tatari è il debutto nell’“alta società” ed è a tutt’oggi il disco più assurdo mai fatto uscire da una major. Sperimentale, senza compromessi, delirante e onnivoro, forse in grado di bucare il mainstream solo perché il pop in Giappone è da sempre un concetto veramente ampio, sia per la loro attitudine terroristico/ludica e vicina a un certo crossover malato sdoganato dai Mr. Bungle, seppur superato a sinistra da uno sbrago sonoro senza pari. Diventati ben presto paladini della scena alternativa anche per i loro live potentissimi, musicalmente si permettono derive spiazzianti (fino a toccare un mix di kraut rock e powerelectronics) ma nonostante questo rimangono solidamente su major fino al 2004, quando lasceranno la WEA per un’etichetta minore (e per la Vice negli Stati Uniti). La fortunata serie di album in studio si interromperà qui, sostituita da un’intensa attività live, in particolare con il concept Boadrum, nel quale data e orario dei concerti coincidono tra loro e anche con il numero di batteristi a suonarli (si tocca il limite massimo di 88 persone), che sembra ancora work in progress.
Total Destruction
Unsane
Atlantic, 1994
Gli Unsane sono una band fondamentale per tittp il noise rock e probabilmente la più violenta per suono e immaginario (le copertine sanguinolente farebbero felice un medico legale): vederli nel catalogo di una major pare dunque strana. E invece nel 1994 te li ritrovi su Atlantic. Non è però esattamente la grunge era a dargli tale possibilità quanto la Matador che stipula un contratto con la major per pubblicare sei album usufruendo della sua promozione. Gli Unsane capitano in questa situazione e registrano il disco con un budget minimo per evitare qualsiasi debito con la major: il disco, il secondo di una carriera che parte nel 1988, è forse quello in cui sono più risoluti a non scendere a compromessi, è il più duro, indigeribile per un pubblico mainstream. a partire dalla copertina, una macchina ricoperta di sangue dopo un incidente stradale, fino al singolo Body Bomb, correlato da un video che narra di un kamikaze che si fa saltare in aria in un edificio affollato, prontamente censurato da MTV. Musicalmente rispetto al passato rallentano i bpm per ottenere un mood e un suono più granitico, aiutati in questo dal nuovo batterista Vincent Signorelli, già nel suo ruolo con gli Swans, al posto di Charlie Ondras morto per overdose. Un tale estremismo rappresenta forse lo zenit della band e l’ultima possibilità di raggiungere un più largo seguito (l’Atlantic infatti gli fece immediatamente bye bye), nonché l’ultimo prodotto ispirato del gruppo.
For Your Own Special Sweetheart
Jawbox
Atlantic, 1994
Band con radici nell’hardcore americano di Washington D.C., i Jawbox si distinguono per una serie di dischi sulla leggendaria Dischord, un curriculum on the road a dividere il palco con gente come gli Helmet e la caratteristica di suonare un noise rock/post hardcore tanto abrasivo quanto capace di ganci melodici non indifferenti. Probabilmente capitati su major grazie al fermento post In Utero, con le etichette alla disperata ricerca di un alternativa al grunge, i Jawbox mettono alla consolle Ted Niceley, produttore dei Fugazi, inserendo un nuovo batterista (Zachary Barocas, in pratica il loro Dave Grohl) e usano tutti i mezzi a loro disposizione per fare un disco perfettamente bilanciato tra underground e mainstream, senza perdere un briciolo di dignità. L’album è osannato dalla critica (tanto che, volendo, potremmo considerarlo un classico mancato degli anni ’90), ma commercialmente non ottiene il successo sperato dall’etichetta (andando comunque bene per gli standard della band, 50 mila copie). Questo li porterà ad essere spostati nella sezione alternative dell’Atlantic, la Tag, sfornando un ultimo disco omonimo con ambizioni ancora più commerciali, ovviamente disattese. Da questo momento la band si scioglie, ricicciando fuori con un nuovo EP solo nel 2022.
Trenchmouth vs. The Light of the Sun
Trenchmouth
Elektra, 1994
Altro caso particolarissimo è quello dei Trenchmouth di Chicago, band che condivideva palchi e amicizie con la scena post hardcore dei vari Fugazi, Nation of Ulysses e Jawbox senza però riuscire a inserirsi in quel contesto. Frustrati da questi inutili tentativi di farsi – diciamo – accettare, cambiano rotta e virano verso un math noise rock schizopatico dagli occhi iniettati di sangue no wave completamente fuori controllo rispetto alle timide avvisaglie del primo album. E guarda il caso, questa trasformazione avviene proprio quando una major li mette sotto contratto (la EastWest, di proprietà dell’Elektra all’epoca). Come in un impeto di totale nichilismo e urgenza di suonare quello che effettivamente sono, i Trenchmouth in Vs. The Light of the Sun sembrano dei Talking Heads caduti in un barile di acido senza alcun appeal commerciale. Logico che l’Elektra li scarichi immediatamente anche se con il buon risultato di un numero 39 nella classifica dei top 75 alternative radio play. L’album è osannato dalla critica che viene piacevolmente spiazzata. Nonostante questo, anche oggi Vs. The Light of the Sun chiede giustizia in quanto mai abbastanza (anzi per nulla) ricordato, anche a ragione del fatto che i Trenchmouth si sono sciolti dopo un ultimo album nel 1996. Rimane senza dubbio uno dei grandi esempi e misteri dei dischi major post Nevermind dal quale c’è ancora molto da imparare.
American Grafishy
Flipper
Def American/Warner, 1993
Sarebbe increscioso non citare una band che si è praticamente inventata tutto semplicemente cercando di fare punk: i Flipper in un sol colpo sono stati padrini del noise rock, del grunge, del post hardcore in tempi non sospetti (i primi anni ’80, per intenderci). Il loro Generic Album ha sintetizzato il nostro essere su questo pianeta, “un’esaltante tragedia” fatta di suoni lancinanti, ritmi che cadono a pezzi, catatonia eroinomane, cacofonia anarchica: insomma dei veri e propri capiscuola che ovviamente non hanno avuto mai successo, restati così a guardare gli altri rubargli varie idee (tra i tanti i PIL, che per il loro Album copiano di sana pianta l’idea e il titolo della cover spartana di Generic). Dopo varie peripezie tra le quali la morte per overdose del geniale bassista e membro fondatore Will Shatter, nel 1992 sembra che i Flipper possano puntare in alto. Rick Rubin li mette sotto contratto per la Def American, all’epoca nel giro della Warner, e i nostri sembrano beneficiare di una certa pubblicità gratuita di Kurt Cobain, che fa interviste in tv girando con la loro maglietta. Forse decisi a riprendersi quello che la generazione grunge gli ha tolto, i Flipper sembrano voler puntare a quel tipo di sonorità, come d’altronde, in reverse, i Nirvana cercano di diventare noise rock riuscendoci solo in parte. I Flipper fortunatamente sono dei veri born to lose, e quindi l’album mantiene suoni e attitudine di gente slabbrata dalla vita, di noiser impuniti e titanici. L’incipit/anthem, la colossale Someday dedicata alla memoria di Shatter, vale tutto il disco. Nonostante ciò, il fatto che l’album sia più “ascoltabile” rispetto a quelli passati alienerà i fan duri e puri senza però fare breccia nei grunger perché troppo weird per i loro gusti piccolo borghesi. Che la band sia di fondo votata all’autodistruzione è palese: nello stesso anno di uscita di American Grafishy, il primo cantante Ricky Williams morirà di overdose e così anche il sostituto di Shatter, John Dougherty. Lontani dalle tentazioni delle major, nel 2009 incideranno Love con Krist Novoselic dei Nirvana al basso e nella loro recente incarnazione troviamo David Yow dei Jesus Lizard alla voce e Mike Watt dei Minutemen al basso. Come a dire che nel noise rock chi nasce tondo, non muore quadrato.
Antonio Santini for SANREMO.FM